Si è appena concluso l'anno 2023 e ci accingiamo ad attraversare il nuovo sentiero del 2024. Proviamo a tirare le somme del primo e a disegnare cosa ci aspettiamo per il 2024.
di Antonio Pennino
Si è appena concluso l'anno 2023 e ci accingiamo ad attraversare il nuovo sentiero del 2024. Proviamo a tirare le somme del primo e a disegnare cosa ci aspettiamo per il 2024. Per evitare di disperdere le energie focalizzerò l’attenzione sul bilancio economico finanziario, peraltro esaltato dalla dialettica nata intorno al Meccanismo europeo di stabilità (MES) e alla conflittualità internazionale acuitasi nel corso del 2023. Partendo dal quadro economico-finanziario dobbiamo sottolineare che ancora una volta il grande debito pubblico è il problema principale del nostro Paese. Pesa molto sulle finanziarie che i governi devono mettere a punto, limita pesantemente le politiche di sviluppo e prescinde dalle casacche di chi governa, salvo regalie come il reddito di cittadinanza o il bonus 110, facili da scegliere e complesse da gestire tanto che i risultati negativi si vedono. Non approfondisco le rispettive tematiche su cui mi sono soffermato in articoli più o meno recenti apparsi su queste pagine. Il debito pubblico maturato sin qui è un fardello notevole che cozza con i dati reali di un Paese che non risulta in recessione come la Germania (sarà pure una recessione tecnica, ma di fatto il paese teutonico la registra), che anzi è la seconda manifattura in Europa poco lontano dalla Germania e dove il risparmio dei cittadini e delle imprese è forte e in crescita. Inoltre, i dati “nascosti”, quelli che ci fanno perdere la faccia in Europa, mostrano come molti hanno una qualità di vita superiore ai valori reali perché evidentemente c’è un sommerso che quasi non giustificherebbe azioni di supporto statale. Abbiamo visto spese fatte a favore di famiglie giudicate bisognose finire nei rifiuti o redditi di cittadinanza trasformarsi in beni voluttuari. Insomma, ci sono redditi che arrivano da “fonti ignote” e non passano dalla porta principale, incidendo sensibilmente sulla evasione ed elusione fiscale. Gli esperti, con la curva di Laffer che mette in relazione l’aliquota di imposta con la entrate fiscali, ci spiegano che il nostro Stato ha raggiunto un livello di tassazione percepito come troppo elevato, per cui la tendenza è all’evasione. Si badi bene, non è un incentivo a non pagare le tasse, ma un invito a renderle il prelievo il più possibile accettabile. Se arrivassimo a un prelievo del 100% quale soggetto sarebbe incline a lavorare o pur decidendo di lavorare, chi a tal punto sarebbe disposto a dichiarare il proprio reddito reale? Qualsiasi governo con qualsiasi bandiera o senza bandiera come un governo tecnico sicuramente deve avere come obiettivo fondamentale quello di dover ridurre a tutti costi questo enorme debito pubblico che limita sensibilmente le politiche di sviluppo economico del nostro paese. Inseriamo qui anche la polemica del MES, un sistema di salvataggio delle banche, che però nel nostro paese cozza con un quadro del sistema bancario in salute e con un atteggiamento dell’Europa che ha penalizzato il salvataggio di alcune nostre realtà creditizie territoriali, ricordo per tutte la banca popolare di Vicenza. Oggi l’Europa con il MES ci chiede di essere pronti a salvare forse le banche tedesche. Allora un po’ di orgoglio nazionale ci vuole senza uno spirito antieuropeo, ma con uno spirito europeo che rigetta l’asse Berlino-Parigi, perché l’Europa è quella di 27 paesi, non di due che vogliono avere il monopolio della gestione. L’Europa deve ricercare una convergenza delle proprie politiche economiche e diplomatiche allo scopo di dare forza e peso alla voce dell’Unione nel consesso internazionale, senza andare a rimorchio dell’una o dell’altra superpotenza di turno. La bocciatura del MES da parte dell’Italia è un gesto di orgoglio e un messaggio in tal senso. Non siamo parte di un gregge, ma di una unione di Stati facenti capo a 27 capitali. Mi auguro che la credibilità e la stabilità che il governo guidato da una donna tenace, determinata e concreta come la Meloni, possa continuare sulla strada intrapresa che ha già dato come risultato l’innalzamento del rating del nostro paese, dimostrando che non vi è sostanzialmente la paura che l’Italia non possa far fronte al proprio debito, ma la speranza che avvii delle riforme che tendano a ridurre tale debito nazionale e continuino a facilitare l’ottenimento di credito a livello internazionale.
L’altro aspetto che voglio evidenziare è quello delle leadership internazionali che negli ultimi anni hanno mostrato una certa tendenza al ricorrere ai conflitti per risolvere le controversie diplomatiche. Insomma, tutti si sono rivolti a quella definizione di Clausewitz che poneva “la guerra come la prosecuzione della politica con altri mezzi”. In questo orientamento vedo la mancanza di una leadership sostanziale, cioè di una diplomazia senza visoni strategiche, incapace di affrontare per tempo le controversie e di ricercare soluzioni politiche. Paesi come la Russia e gruppi terroristici appoggiati dall’Iran, come HAMAS, hanno violato la sovranità di altri stati per controversie lasciate crescere senza alcuna azione reale di pacificazione da parte della diplomazia internazionale. La Cina e la Russia sono i nuovi colonizzatori dell’Africa, ma non sento voci di dissenso. L’Arabia Saudita alimenta comunità islamiche integraliste, se non terroristiche, non solo per arginare l’azione iraniana in tal senso, ma anche per una maggiore diffusione del proprio credo. Alcuni esempi del confronto scita-sunnita li viviamo quotidianamente: la destabilizzazione del Libano un tempo chiamato la Svizzera del Medio Oriente, la mancanza di supporto al popolo palestinese per continuare ad alimentane l’odio verso gli ebrei e lasciare la fiamma del conflitto costantemente accesa in Palestina e, infine, la situazione dello Yemen con il gruppo armato prevalentemente scita degli Huthi. Poi, assistiamo a uno scontro tra le Cina e Stati Uniti tra Asia e America Latina. Taiwan e Coree nel continente asiatico e la colonizzazione latente della Cina in America Latina per diventare primo partner commerciale in luogo degli Stati Uniti di paesi come il Brasile e il Venezuela. Con il primo ha già conseguito l’obiettivo grazie anche alle scelte di casacca. Insomma, dobbiamo condividere la preoccupazione del Papa quando dice che la terza guerra mondiale è già in atto attraverso “micro-conflitti” regionali. Eravamo confidenti nello scoppio della pace dopo la caduta del muro di Berlino nel “lontano” 1989. Invece, abbiamo assistito a uno scoppio di conflitti sempre maggiori e sempre meno controllati da qualche superpotenza e abbiamo visto una spesa per la difesa crescente, in modo esponenziale, nell’area orientale che comprende paesi come la Cina e l’India. Quindi invito i pacifisti a combattere per una mentalità politica e per una diplomazia internazionale che credano che la soluzione delle problematiche e delle controversie tra stati o attori vari vada risolta ai tavoli delle trattative e non su un campo di battaglia. Quindi l’augurio per il 2024 in questo campo può essere solo l’invito al ritorno al rispetto reciproco e ad affrontare per tempo le controversie, era Dante che ci ricordava che “perdere tempo a chi più sa più spiace”.
Al mondo politico mi permetto di rivolgere un appello ad affrontare le problematiche sul tappeto con spirito costruttivo e di non sentirsi in perenne campagna elettorale e strettamente legati alla propria casacca. Abbiamo bisogno di leadership sostanziali e con idee strategiche per rilanciare un paese che ha i numeri e dati importanti ma che si deve confrontare con un debito pubblico che rappresenta un pesante fardello che limita l’azione di qualsiasi governo. Gli auguri che faccio per il 2024 sono che fioriscano ovunque leader di spessore con una grande visione strategica di pacificazione, che le casacche siano un po’ messe da parte e si guardi all’interesse nazionale inteso anche come europeo. Abbiamo bisogno di idee e di produttività crescente, nel rispetto dell’ambiente, caratterizzate da una progettualità strategica. Le vuote polemiche che spesso dimostrano scarsa conoscenza degli argomenti o si rivolgono ad aspetti marginali sono parole che non costruiscono nulla. In ultimo auguro che il “RISPETTO RECIPROCO” abbia una valenza sempre maggiore, cioè cresca in tutte le società, tra i diversi credo e in ogni cultura. Felice 2024
LA CRISI SULL'ESEQUIBO E LE NUOVE GUERRE DI LOGORAMENTO Il Brasile ha già inviato proprie truppe al confine con la Guneya.
di Antonio Pennino
L'America Latina potrebbe essere il palcoscenico di un terzo conflitto di valenza internazionale tra Stati Uniti e i suoi contendenti alla “poltrona” di superpotenza mondiale. Il Venezuela, come la Russia di Putin con la Crimea, ha indetto un referendum sulla possibile annessione della regione dell’Esequibo, ricchissima di petrolio, gas e oro, che rappresenta il 70% del territorio della confinante Guyana. Il referendum, probabilmente pilotato, ha dato ragione alle rivendicazioni del presidente venezuelano Nicolas Maduro, infatti la vittoria è stata schiacciante: oltre il 95% di si. I cittadini recatisi alle urne sarebbero stati oltre 10 milioni, secondo fonti governative venezuelane, e 2,5 milioni secondo le fonti dell’opposizione. Il motivo storico di questo passo sta nel contenzioso sulla sovranità della Guyana che va avanti da oltre 100 anni. Il Venezuela, dalla retorica bolivariana, sempre più in crisi, da un lato ama, forse dovremmo dire tollera, gli Stati Uniti perché sono il primo partner commerciale e, in particolare, clienti che assorbano il 10% del petrolio venezuelano, dall’altro li odia, o non li apprezza, perché gli hanno imposto sanzioni sul cospicuo patrimonio personale del presidente Maduro e di numerosi funzionari che hanno interpretato il socialismo bolivariano come redistribuzione della ricchezza del paese a se stessi. Il copione dell’annessione di uno stato terzo lo abbiamo già visto il 2 agosto del 1990, quando il dittatore iracheno Saddam Hussein per acquisire i giacimenti petroliferi del Kuwait e affermare la propria egemonia sulla regione invase il piccolo stato arabo. Ancora, abbiamo assistito il 14 marzo del 2014 al referendum per l’autodeterminazione della Crimea, il cui parlamento aveva deciso l’11 marzo 2014 l’indipendenza e conseguentemente l’annessione alla Federazione Russa. La storia si ripete in diversi contesti geografici con azioni simili e ricercando come obiettivo sempre l’annessione di aree ricche di materie prime. Lo scenario, in questa fattispecie, vede ancora una volta una potenza come la Cina ampiamente coinvolta nell’area. Basta ricordare a titolo di esempio il tentativo in atto di costruire in Nicaragua un canale di collegamento tra l’Oceano Pacifico e l’Oceano Atlantico in competizione con quello di Panama, sotto influenza statunitense. L’ investimento messo in gioco è di 50 miliardi di dollari attraverso un imprenditore di Hong Kong di nome Wang Jing. A questo si aggiungono tutti i rapporti bilaterali con i paesi dell’America Latina per soppiantare gli Stati Uniti come primo partner commerciale. Obiettivo già conseguito con il Brasile e sulla buona strada con Uruguay, Colombia, Cile, Messico, Perù e, guarda caso, Venezuela. A questi paesi la Cina vende e dona armi. Sarà interessante, comunque, osservare il comportamento della potenza cinese nel confronto tra il Brasile e il Venezuela, entrambi partner di rilievo, a causa di questa crisi sull’Esequibo. Infatti, il Brasile ha già inviato proprie truppe al confine con la Guneya. Le materie prime da un lato e la ricerca del predominio regionale dall’altro sembrano essere i motivi principali di questo nuovo confronto. Il filo conduttore appare, però, sempre lo stesso: un attacco su più fronti agli Stati Uniti. Stiamo assistendo in questi giorni alle azioni del presidente americano Biden per convincere il Congresso a elargire ulteriori fondi per sostenere la guerra dell’Ucraina contro la Russia e per convincere Netanyahu, il premier israeliano, a rallentare o addirittura fermare l’offensiva contro Hamas a Gaza. Adesso potrebbe aprirsi un fronte in America Latina. Insomma, sembra che i cinesi stiano conducendo il gioco per coinvolgere gli Stati Uniti in più contesti caratterizzati da forme di belligeranza dall’attrito piuttosto aspro e intenso, lontani tra loro (continenti diversi) e da prolungare nel tempo, come se fossero guerre di logoramento.